Contrabbando

Rete metallica presso San Lucio (1958)

La rete metallica che segnava il confine italo-elvetico presso il passo di San Lucio nel 1958, sullo sfondo il Massiccio Fiorina (foto di Pierluigi Riva)

La collocazione strategica al limite con la vicina Svizzera e la difficoltà ad avere fonti di reddito sicure, hanno fatto sorgere in Val Cavargna il fenomeno del “contrabbando”. L’attività fuorilegge del contrabbandiere consisteva nel trasporto clandestino, attra- verso il confine, di alcune merci evitando il pagamento delle tasse doganali. A seconda delle differenze economiche tra Italia e Svizzera, il traffico poteva avvenire in ambo le direzioni. In effetti vi fu un periodo, dal 1943, in cui il riso veniva portato in Svizzera, mentre in Italia giungevano caffè, sale e sigarette. In seguito, cessata la seconda guerra mondiale, si affermò definitivamente il contrabbando delle sigarette e del caffè.

Rievocazione del contrabbando

Rievocazione del contrabbando (foto appartenente all’archivio degli Amici di Cavargna)

Il ricordo di questo fenomeno è ancora vivo negli abitanti della Val Cavargna e delle valli limitrofe (Val Rezzo, Valsolda), tanto che la parola sfroso, derivata da frodo(attività di frodo o attività praticata di nascosto) è diventata di uso comune. L’organizzazione del contrabbando era ben strutturata e si basava su una precisa gerarchia: alla testa vi era il padrone, poi il capo e infine gli spalloni. Il primo era il diretto responsabile, colui che organizzava l’attività; il capo doveva preparare le imprese mentre agli spalloni toccava il compito difficile e faticoso di trasportare la merce su lunghi percorsi.

E’ inutile sottolineare che l’attività clandestina era ben conosciuta, infatti, a già tra fine 800 e 900, lo stato aveva utilizzato alcuni edifici militari costruiti a difesa dei confini, la cosiddetta Linea Cadorna, in preparazione della guerra 1915-1918, poi passati alla Guardia di Finanza per il servizio anticontrabbando (es. Rifugio Garzirola, Rifugio San Lucio). Alcuni degli aspetti curiosi legati a questa attività sono l’abbigliamento e le attrezzature degli spalloni, ben studiati per trasportare la merce e eludere la sorveglianza dei finanzieri.

Finanziere con bricolla

Finanziere in posa dopo aver sequestrato una bricolla in Val Cavargna (foto di Pierluigi Riva)

L’elemento essenziale era la bricolla, un insolito zaino a forma di parallelepipedo: la bricolla era costruita in modo che fosse impermeabile (iuta e tela cerata), si indossava con delle normali spalline di tela e corda cucite con uno spago che doveva impedire i movimenti laterali. I pedu o peduli erano invece una sorta di “rivestimento per le scarpe” ricavate dalla tela dei sacchi, servivano per attenuare i rumori dovuti al calpestio. Indispensabile il bastone, che doveva arrivare alla fronte dello spallone e avere una punta di 20 cm, guida sicura per i sentieri di montagna. In genere si costruiva con legno di nocciolo che garantiva la necessaria flessibilità in caso di cadute, dovute soprattutto agli agguati dei finanzieri. Inoltre ogni contrabbandiere era munito del falcetto, altro strumento utilizzato per costruire sacco, peduli, bastone e anche per tagliare gli spallacci allontanando il corpo del reato: la bricolla.

Peduli

I peduli, le particolari calzature utilizzate dai contrabbandieri per attenuare il rumore provocato dai piedi (foto di Attilio Selva)

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