Il dialetto Rungin

A fine anni Settanta, nelle note ad un articolo sul gergo dei rungin «I magnani della Val Cavargna e il loro gergo», in Como e il suo territorio (Mondo popolare in Lombardia 4), Glauco Sanga nota che la Valle è caratterizzata un doppio registro dialettale. Ci sarebbe un livello interno, riservato al paese e a chi ha uno stretto legame col paese, e un livello più ampio, adatto per la comunicazione con l’esterno: Menaggio, Como e Lecco. In questa ricerca si ricostruisce quello che rimane del Rungìn, il gergo parlato dai magnani della Val Cavargna, lavoratori ambulanti. Il rungin non è una lingua e non è un dialetto, ma appunto un gergo ed era parlato anche dai valligiani che praticavano il contrabbando. Il vocabolario del rungìn si deve in gran parte al maestro Carlo Butti, nato a Vegna nel 1904, e alle frasi in gergo di Felice Bralla nato a San Nazzaro nel 1900.

Una ricerca linguistica degli anni duemila, condotta in Valle da Antonio Bertelé, Giulia Caminada, Gabriele Iannaccaro, Gloria Mazza,  ha portato  alla creazione del DVD «Parole e cose della Val Cavargna» (Provincia di Como) che contiene filmati inerenti la lavorazione del latte e della lana in Valle con la trascrizione del parlato, i dialoghi sono stati corredati da trascrizioni (a cura di Antonio Bertelè, Giulia Caminada e Gloria Mazza) e un glossario (a cura di Giulia Caminada) edito in due forme: una integrata nel DVD, limitata alla lista delle parole udibili nei dialoghi che non siano di immediata comprensione per chi non conosca i dialetti lombardi e una più ampia, nei materiali di accompagnamento, che renda contoanche delle particolarità etnolinguistiche non trattate nell’introduzione ergologica. Il DVD comprende anche il filmato Isepe i Bragiola, autorappresentato dagli abitanti della Valle: miniera di informazioni sull’autopercezione linguistica e identitaria di Cavargna. La riflessione sulla lingua è ad opera del linguista Gabriele Iannaccaro della cattedra di Sociolinguistica della Bicocca di Milano. Per l’aspetto fonetico si rimanda alle sue riflessioni contenute nel DVD e di seguito riportate.

SemplificataIPAEsempio
éeCome in it céna
èεCome in it bèllo
óoCome in it francobóllo
òcCome in it còrno
üyCome in fr mur (muro) o in ted Mühle (mulino)
öøCome in fr peu (poco) o in ted Lösung (scelta)
ëə, ØCome in ingl about (su, circa); talora è quasi muta
c (+ a, o, u)kCome in it cane
g (+ a, o, u)gCome in it gatto
zʦCome in it canzone (non come in it zona)
c (+ i, e)ʧCome in it ciao]
g (+ i, e))Come in it giorno
ss, zCome in it sole e in it rosa (cfr. oltre)
sc (+ V)ʃCome in it scena
sg (+ V)3Come in fr jour
gnyCome in italiano ragno

Una questione si è posta per la {s}, che, come si è visto indica contemporaneamente la fricativa alveolare sorda [s] e la sonora[z], come peraltro accade nelle lingue standard romanze e germaniche; sarebbe stato innaturale distinguerle graficamente,tanto più che compaiono in contesti fonici assolutamente prevedibili: [s] fra o prima di consonante sorda, [z] fra vocale o prima di consonante sonora. Prove di lettura spontanee ci hanno confermato che, per un parlante lombardo, non esiste dubbio possibile. Si ponga anche mente alla scrittura delle consonanti finali di parola:

SemplificataIPAEsempio
-nŋLa -n finale del milanese, come in bon ‘buono’, più arretrata rispetto a quella

per esempio di cane’

-nnnLa -nn finale del milanese, come in donn ‘donne’-c/-gk/gLa scrittura con un solo simbolo indica la pronuncia occlusiva velare-cc/-ggʧ/)La scrittura con due simboli indica la pronuncia affricata palatale-zztsSolo sorda; non c’è la sonora finale

Talora, per scelta del trascrittore, si trovano consonanti doppie finali idiosincratiche: le abbiamo lasciate perché – senza alcuna pregiudiziale per la pronuncia o per il riconoscimento della forma linguistica – testimoniano della riflessionespontanea sulla forma della parola.

Se è stata nostra preoccupazione accondiscendere il più possibile alle convenzioni grafiche sul piano della fonetica, non altrettanto è stato per l’aspetto morfologico della scrittura; qui, al contrario, ci ha guidato la considerazione della massima trasparenza delle forme: come è noto, il lombardo occidentale possiede una notevole quantità e varietà di pronomi atoni, articoli e particelle locative e argomentative che spesso, nella scrittura comune (oltre che naturalmente nella pronunzia) vengono indicate unite, e unite vengono sentite nella coscienza comune del parlante. Qui si è mantenuto il principio della separazione tra le forme morfologiche, che sono scritte il più possibile in modo autonomo, e, soprattutto, in forma fonetica, senza cioè prendere posizione sulla loro possibile etimologia. Qualche esempio chiarirà forse meglio il tipo di convenzioneutilizzata:

scolta,specianatimtornémndrén
ascoltaaspettaunattimotorniamoindietrounpo’
cunquestlpasalpél,macungióiurcigalpasamia
conquesto[egli]passailpelomacongiùleortiche[egli]passanon
sicasciavagevalcapmalgaevia
siportavacierailcapomalgaevia
ndlcasèlondlacaldera
neilcasèlonelacaldaia

 

Le forme in grassetto sono quelle che ci interessano; come si vede non compaiono apostrofi o altri segni, prima o dopo le consonanti n, g o l che stanno da sole, nella convinzione che quella sia, sincronicamente, la vera forma dialettale, e indicare una cosa come ‘n (‘un, uno’) o forme simili avrebbe significato una indebita ingerenza della grammatica dell’italiano su quella del dialetto. Per il principio della trasparenza della resa morfologica si è scelto di separare la preposizione in dall’articolo, in n dl dell’ultimo esempio; tuttavia il procedimento non è stato portato alle sue estreme conseguenze, e non si è notato, come pure si sarebbe potuto:

ndloppurendla
in(di)ilin(di)la

anche se il dialetto, come si vede, richiede qui una preposizione di rincalzo di: ciò a favore di una maggiore facilità di lettura, e anche in considerazione che un’eccessiva frammentazione delle forme avrebbe sconcertato non poco il lettore dialettofono.

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